Tramite il mio blog, quello su cui leggete i racconti, vengo contattato da un uomo di 56 anni, bisex e, con mio estremo piacere, feticista dei piedi e amante del bondage maschile. Mi scrive prima diverse mail, nelle quali iniziamo a conoscerci in maniera epistolare, poi passiamo a skype dove scambiamo lunghe chat descrittive delle reciproche fantasie. Decidiamo così di incontrarci per un aperitivo, per parlare faccia a faccia e stabilire se i punti di contatti emersi dalle conversazioni in chat abbiano effettivamente modo di materializzarsi in un incontro di gioco.
Si chiama Alberto, nome di fantasia a tutela della privacy, non troppo alto, brizzolato, con un po’ di pancetta: veste sportivo ed è molto alla mano, con la battuta sempre pronta. Parliamo per almeno un’ora e mi descrive con un po’ di imbarazzo quello che gli piacerebbe farmi, senza comunque lesinare sui particolari piccanti, cosa che, per essere il primo incontro, fa avvertire una notevole eccitazione latente.
Ha una moglie, che descrive priva di fantasia e soprattutto di voglia, e mi racconta i diversi aneddoti che lo hanno spinto a scoprirsi bisessuale e attratto dal mondo sadomaso con un uomo come oggetto delle sue attenzioni. Si dipinge amante dei bei piedi maschili e mi dice più volte che sono state proprio le foto dove si vedono i miei piedi legati a spingerlo a contattarmi, ovviamente non prima di aver letto tutti i miei racconti ed essersi masturbato avidamente immaginando le situazioni descritte.
Dichiara senza mezzi termini di volermi seviziare in diversi modi e di volermi usare oralmente fino all’ingoio completo, dandomi una copia delle sue ultime analisi, fatte di nascosto dalla moglie, dove si evince la sua completa sanità. Questa è una cosa che apprezzo molto, visto che le analisi sono della settimana prima e ne deduco che le abbia fatte proprio in vista del nostro incontro conoscitivo.
Dal bar dove stiamo parlando, ovviamente in disparte e un po’ sottovoce, ci trasferiamo nel parcheggio, e ci sediamo dentro la sua macchina: ora si apre ancora di più, al riparo da orecchie indiscrete, e ricomincia a parlarmi dei miei piedi, che saranno sicuramente oggetto di molte attenzioni da parte sua se l’incontro dovesse concretizzarsi. Durante la conversazione che si fa sempre più particolareggiata, mi invita a togliere almeno una scarpa e denudare un piede per consentirgli di vedere dal vivo e, se possibile, toccare con mano…
“Siamo in un parcheggio, non mi sembra il caso…” gli dico, e lui per tutta risposta mi dice: “Possiamo spostarci se vuoi, magari appartiamo più avanti” È eccitato, lo vedo dalla patta dei pantaloni che sembra esplodere, tergiverso un po’ ma la cosa mi intriga… mi piace quando i miei piedi sono desiderati, non è un mistero.
“Va bene, spostiamoci, ma non possiamo stare troppo tempo, ok?” – “Tranquillo, non sono scemo, ma vorrei vedere se sono come li ho visti in foto…” Accende il motore e, una volta uscito dal parcheggio, si immette sulla statale da dove siamo arrivati entrambi: dopo un chilometro prende l’uscita verso una laterale poco frequentata e, dopo altri due chilometri, accosta in un’area di sosta sostanzialmente deserta e coperta dagli alberi, ma sempre costeggiante la statale appena fuori Roma.
“Dai, togli le scarpe Fox…” mi dice toccandosi tra le gambe… Accavallo la gamba destra, la macchina è spaziosa e il movimento è agevole: slaccio la scarpa, una Hogan nuova, e abbasso il calzino… Il suo sguardo è fisso sulla mia caviglia e segue avidamente mentre sfido il calzino e denudo il piede. Lui avvicina la mano destra e mi accarezza sotto la pianta, per poi risalire verso le dita… Mi sto eccitando anche io.
Mi accarezza il piede, a lungo… “È morbidissimo, non sembra neanche maschile… mi eccita e devo dire molto più che in foto… Togli anche l’altra scarpa, dai… fammeli leccare un po’…” – “Non staremo esagerando? Siamo in pieno giorno e potrebbe anche passare qualcuno…” – “Il tempo di leccarteli e poi ce ne andiamo” mi risponde. Lo accontento, slaccio anche l’altra Hogan e tolgo il calzino, lui mi prende le gambe e porta i miei piedi sulle sue, per poi leccare le dita e le piante mentre con l’altra mano si tocca tra le sue gambe.
“Me l’hai fatto venire duro come un macigno… i tuoi piedi sono morbidi, lisci, profumati…” mi dice mentre continua a leccare… “Apri i pantaloni, fammelo vedere, ce l’hai duro anche tu, lo so…” – “No, qui no… non è proprio il caso” rispondo, ma lui allunga la mano verso le mie gambe e la mette sulla patta, a trovare conferma della mia eccitazione: “Lo sapevo, senti che roba… tiralo fuori dai, poi ce ne andiamo” Mi lascio convincere, come se si stesse già instaurando un rapporto di sottomissione, sbottono la patta, apro i pantaloni e abbasso i boxer per quanto possibile, mettendo a nudo il pene duro e turgido. Lo prende in mano e inizia a masturbarmi mentre continua a leccarmi un piede. Cavolo mi fa quasi venire, sarà la situazione precaria e la paura che qualcuno possa vederci, ma arrivo veramente al limite dell’orgasmo in pochi secondi.
Arriva una macchina e immediatamente lui si ferma e mi agevola il ricompormi velocemente prima ci passi accanto… sarebbe stato molto imbarazzante, ma per fortuna facciamo in tempo a riprendere la situazione. Passata la macchina rimetto i calzini e le scarpe e lui mette in moto per tornare al parcheggio.
Dopo questo “assaggio”, decidiamo di incontrarci per giocare e ci diamo appuntamento nello stesso parcheggio per il sabato successivo: da lì saremmo andati nell’appartamento che di solito utilizzo per questi incontri.
Nell’attesa che arrivi il sabato, ci eravamo incontrati il martedì, continuiamo a scambiarci messaggi in chat e via mail, dove lui ribadisce di impazzire per i miei piedi. La cosa mi stuzzica molto, come anche tutto quello che dice di volermi fare.
Appuntamento al parcheggio per le 9.30 di sabato. Arrivo puntuale e lo vedo in attesa appoggiato alla sua macchina: mi accosto e gli dico di seguirmi fino a dove potremo parcheggiare entrambe le macchine, in prossimità dell’appartamento che poi raggiungeremo a piedi. Percorsi 15 minuti di strada arriviamo nella zona dove lasciare le macchine e proseguiamo camminando, parlando di come potrebbe svolgersi l’incontro, quali siano i limiti e quali giocattoli usare. È già tutto dentro un armadio nell’appartamento, quindi non è stato necessario portare nulla se non le videocamere e i cavalletti per le riprese, che interessano entrambi ovviamente.
“Ti verrò dentro la bocca diverse volte, dovrai ingoiare…” mi dice, e io con tranquillità gli rispondo che, avendo verificato le analisi, non ci saranno problemi. “Non escludo di incularti, ma non ti verrò dietro, voglio venirti solo in bocca e farti ingoiare ogni volta”… annuisco nuovamente, ne avevamo già parlato.
Arriviamo al palazzo dove c’è l’appartamento delle torture e, mentre saliamo la scala interna, con la mano mi accarezza tra le gambe, da dietro: “Non qui e non ora”, lo apostrofo facendolo desistere, visto che potremmo incrociare qualcuno. “Vorrei che per iniziare indossassi il pigiama che ti ho fatto portare, con le pantofole celesti, se non ti dispiace…” mi dice… “Va bene, mi hai chiesto di portare queste cose e le indosserò, ma ora aspetta che siamo dentro”.
Apro il portoncino dell’appartamento, entriamo e richiudo la porta, dando le mandate alla serratura.
“Ci sono due bagni, io faccio una doccia e indosso quello che mi hai chiesto, vado di sopra, tu usa pure quello a questo piano per rinfrescarti” – “Ok… bell’appartamento…” mi risponde.
Fatta la doccia, esco dal bagno in accappatoio e pantofole di spugna, vado in camera da letto e metto un pigiama di seta verde, con sotto un paio di boxer blu e delle pantofole in pelle. Lo sento armeggiare di sotto, scendo dalla scala e lo trovo in tuta che cerca un qualche canale sul televisore della sala: “Cerco un po’ di musica, da usare come sottofondo… vedo che hai messo il pigiama, bene…” – “Me lo hai chiesto…” rispondo…
“Dove sono le corde?” – “Nell’armadio sulla scala, qui alla mia destra… vuoi dare un’occhiata?” – “Certo, tu siediti sul divano… anzi no, siediti qui…” e sposta una sedia nel centro del tappeto davanti al divano.
Mentre scendo dalla scala, ci incrociamo per un attimo e sento la sua mano sfiorarmi tra le gambe e passarmi sulle natiche.
Mi siedo sulla sedia, mentre lui apre l’armadio della scala: “Bene, c’è molta roba interessante… a me piace usare la corda di iuta, anche se segna un po’ la pelle, ma mi eccita vedere i segni delle corde, soprattutto sulle caviglie” Scende con in mano diversi pezzi di corda, una palla in gomma e un rotolo di nastro adesivo nero: viene verso di me, posa tutto sul tavolo: “Prima di legarti posiziono le videocamere” – “Ok” rispondo.
Posiziona i cavalletti in due angoli, avendo cura che nessuno dei due entri nell’area di ripresa dell’altro, poi fissa le videocamere, le accende e le regola… si muove con fare esperto… Terminata l’operazione, alza il volume della musica e poi torna verso di me… prende una corda dal tavolo: “Metti le braccia dietro la schiena”… obbedisco e inizia a legarmi i polsi che ha cura di bloccare alla seduta; con un’altra corda mi avvolge i gomiti e li stringe quanto più possibile, bloccandoli alla spalliera.
“Prima di legarti piedi e gambe ti imbavaglio, apri la bocca…”