Fin dal periodo medioevale, la Chiesa ha avuto spesso evidenze di torture sadiche e feticiste nei confronti di coloro che finivano, per un motivo o nell’altro, nelle grinfie di ecclesiastici deviati. Del resto le devianze sadiche non sono mai state appannaggio di una specifica entità, che fosse religiosa, politica o di altro genere: semplicemente è sempre stato il potere nelle mani di alcuni personaggi a sfociare poi nel dare sfogo alle tendenze sadiche nei confronti di entrambi i sessi. Il periodo dell’inquisizione vanta la più alta proliferazione di strumenti e macchine di tortura, riconducibili quasi sempre alla sfera sessuale. Sicuramente con l’evoluzione e lo sviluppo culturale, queste pratiche sono state relegate al passato, ma non crediate che siano scomparse da determinati ambienti: tutt’altro! Il fatto che ora non siano alla ribalta come allora è dovuto unicamente al fatto che, sebbene rarefatte, vengano tenute ben nascoste ma comunque praticate. Internet è la principale fonte di vittime per queste realtà, spesso anche cercate, e anche io mi ci sono ritrovato coinvolto, seppur con presupposti iniziali ben diversi.

Ricevo un gancio tramite il mio sito e vengo contattato da un tizio con il quale, parlando via mail e via chat, disquisiamo proprio in merito alle torture medioevali praticate dalla Chiesa, o quantomeno da suoi esponenti con determinate tendenze sadiche. Dopo molteplici scambi di impressioni, fantasie e altro, il tizio si rivela essere un monaco. Sul momento non ci credo molto, non sarebbe la prima volta che, da dietro una tastiera e unicamente per assecondare qualche voglia di masturbazione impellente, qualcuno si spacci per ciò che non è, ma continuando a parlarci e acquisendo alcuni dettagli, inizio a rendermi conto che forse sia effettivamente chi afferma di essere. Tralascio i particolari su quello che vorrebbe farmi, non molto dissimili da quanto mi viene continuamente proposto, partendo dai piedi per finire alle sevizie più disparate, ma un pomeriggio mi coglie di sorpresa, invitandomi a incontrarlo proprio nel monastero dove risiede che, a sua detta e risalendo proprio al periodo medioevale, sono ancora presenti nei sotterranei le celle di contenzione e le camere di tortura, con ivi funzionanti le varie diavolerie allora congeniate. La proposta sarebbe quella di una visita, non di un incontro a scopo sessuale, giustificando il fatto che non sarebbe possibile fare altro a causa della presenza dei suoi venti confratelli che compongono la piccola congregazione. Il monastero si trova in provincia di Frosinone, così ci rifletto su. Scambiamo ancora molte mail e conversazioni in chat, finché mi convince ad effettuare la visita, restando ospite della congregazione per due giorni.

Accade tutto un venerdì mattina quando, di buon’ora, mi avvio verso il monastero che raggiungo intorno alle 11:30, appena in tempo per il pranzo che loro consumano alle 12:00 e per il quale vengo invitato prima di iniziare la visita. Il mio contatto è quello che mi accoglie al portone di ingresso, facendomi entrare con la macchina che parcheggio in un ampio piazzale. Veste ovviamente il saio tipico dei frati, ma vedo che è un uomo sui sessanta, con una bella pancetta e il fare gioviale: forse troppo. Mi introduce ai confratelli, tutti in media sulla stessa età, poi ci sediamo in una grande sala con un lungo tavolo in legno massiccio predisposto per il pranzo. Indosso una tuta e delle scarpe da ginnastica: una volta tanto non ho al seguito tacchi o intimo e abbigliamento femminile, immaginando che non ve ne sarebbe stata necessità, visti i presupposti. Uno di loro prende il mio zaino che mi dice ritroverò nella cella assegnatami per il soggiorno, quindi non ci faccio caso più di tanto: mi viene però chiesto di spegnere il cellulare e di metterlo dentro lo zaino stesso, per evitare che la tecnologia possa disturbare la quiete del monastero. Li assecondo e iniziamo il pranzo dopo la loro preghiera rituale, intrattenendo una conversazione che non verte su argomenti particolari o su riferimenti di cui avevo discusso con il mio contatto, Frate Giuseppe. Il pasto è frugale ma ben cucinato, come buono è anche il vino che mi viene versato due o tre volte: sarebbe stato proprio quel vino a far evolvere la situazione. Infatti, non appena terminato il pasto, una strana sonnolenza inizia a intorpidirmi i sensi finché li perdo completamente, penso accasciandomi sul tavolo. Tutto si fa buio improvvisamente…

Il risveglio mi pone di fronte a una situazione che avrei dovuto immaginare se solo non mi fossi fatto abbindolare dall’idea collettiva che una congregazione ecclesiastica dovrebbe comunque essere un posto sicuro: niente di più sbagliato! Infatti mi ritrovo completamente nudo, legato mani e piedi a croce su un tavolo di legno e imbavagliato con un aggeggio che mi hanno ficcato in bocca, simile a un divaricatore ma con un perno a farfalla che serve ad allargarlo nel palato. Polsi e caviglie sono bloccati da fasce in cuoio fissate direttamente al tavolo, come anche il collo e le cosce sono fissati allo stesso modo. Non c’è molta luce e l’odore di umidità mi fa capire che mi hanno chiuso nei sotterranei. Per diverso tempo resto solo, finché sento le mandate di una serratura aprire una porta che dalla mia posizione e per come sono immobilizzato, non riesco a vedere: sento i passi di almeno tre persone distinte che vengono verso di me, poi li vedo… Frate Giuseppe e altri due si dispongono intorno al tavolo, senza ancora proferire parola, poi è Giuseppe a parlare: “Volevi conoscere di più sulle torture praticate dalla Chiesa, ho pensato di fartele sperimentare. Abbiamo dovuto drogarti il vino, per poterti spogliare e portare qui sotto. Non credo avresti accettato di tua volontà…” – “GHMMFGHH!” è l’unico suono che mi esce dalla bocca, riempita dal divaricatore. Lui continua: “Tranquillo, ti lasceremo andare, ma solo dopo averti fatto sperimentare i giocattoli che ancora sono conservati in perfetto stato in questo sotterraneo. Ti terremo prigioniero per qualche giorno e filmeremo tutto, così quando ti lasceremo andare avrai qualcosa su cui riflettere per mantenere il silenzio. Ci firmerai una liberatoria dove ci autorizzi a torturarti per tuo piacere personale, così non ci saranno problemi”. Cerco di divincolarmi, ma le fibbie di cuoio che mi immobilizzano al tavolo sono molto efficaci nel tenermi ben fermo. È uno degli altri due a prendere la parola, e dal tono sembra essere qualcuno di più importante del mio frate: “Il tuo corpo depilato è chiaramente quello di un peccatore… assaporerai quello che forse hai immaginato e desiderato che ti fosse fatto. Inizieremo con una semplice legatura dei genitali e la pinzatura dei capezzoli con dei morsetti che man mano stringeremo. Anche se qui sotto non può sentirti nessuno, sarai imbavagliato molto strettamente, per evitare che le tue grida possano darti sollievo. Possiamo iniziare: legategli il pene e i testicoli, poi mettetegli la gabbia…” Mentre due provvedono a quanto comandato, lui continua: “Ovviamente daremo corso anche al nostro piacere personale, che non si limiterà a seviziarti e torturarti: ti sodomizzeremo a turno, legato in posizioni adatte, e useremo la tua bocca a nostro piacimento, avvalendoci di appositi costrittori per tenertela ben aperta e obbligarti a ingoiare il nostro piacere e magari anche il tuo”. Dopo avermi sollecitato per farlo inturgidire quanto basta, i due mi legano pene e testicoli con uno spago elastico, talmente stretto che mi sembra di sentirmi scoppiare, poi me lo ingabbiano letteralmente con un aggeggio in metallo a forma, appunto, di gabbia. Riesco a vedere solo in parte, avendo il collo bloccato, ma non mi sfugge che siano alquanto eccitati da quello che mi stanno facendo. Terminato l’ingabbiamento, peraltro alquanto doloroso a causa dello spago stretto e dell’inevitabile indurimento opportunamente contrastato dalla gabbia, il frate boss continua: “Ora ti infileremo un divaricatore anale, per prepararti alla fase successiva, dove sarai sodomizzato ripetutamente. Bloccategli anche la fronte e allargate il bavaglio…” Così un’altra fibbia di cuoio mi viene passata intorno alla fronte e stretta direttamente sotto il tavolo attraverso delle fessure predisposte, poi girano la farfalla del bavaglio e la mia bocca viene ulteriormente divaricata, impedendomi totalmente anche di mugolare. È proprio Frate Giuseppe a espletare quanto anticipato dall’altro, prendendo un altro aggeggio infernale che mi viene infilato nel culo e poi allargato sempre con lo stesso sistema a farfalla: diversi giri e lo sento intensamente svolgere il proprio compito di allargarmi progressivamente, finché gli viene fatto cenno che può bastare. “Bene. Bacchettategli le piante dei piedi e i capezzoli per almeno un quarto d’ora, poi lasciamolo solo. Torneremo quando sarà abbastanza dilatato”. Lo vedo allontanarsi mentre gli altri due si armano di verga e iniziano a frustarmi le piante dei piedi: non esagerano, ma le prolungate bacchettate iniziano ben presto a farsi sentire, come quelle che Giuseppe mi assesta sui capezzoli. Mi contorco ben presto dal dolore, anche minimo, che mi viene propinato e per tutta risposta il mio pene diventa sempre più duro e schiacciandosi dentro la gabbietta. Il quarto d’ora si rivela immensamente lungo, finché si fermano e, prima di lasciami solo, si assicurano che le fibbie di cuoio che mi legano non si siano allentate. Poi mi lasciano nuovamente solo, immobilizzato sul tavolo di tortura…


 

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