Scambiate diverse mail, prendo accordi con lo psicologo per il fatidico incontro presso la sua casa di Fregene: stabiliamo di vederci nel weekend, verso le 19 del sabato: mi ha inviato l’indirizzo e mi ha dato tutte le indicazioni necessarie, non ultimo sull’abbigliamento e sulle scarpe. Decido di andare incontro alle sue fantasie per quanto possibile, depilandomi le gambe nella parte bassa, ma oltre quello non posso andare, al fine di evitare domande scomode. In ogni caso, indossando una gonna o un vestito non troppo corti, l’effetto crossdresser sarà visibile ed esalterà i tacchi alti.

Come per il precedente incontro in studio, metto una tuta e un paio di scarpe veloci da togliere: metto tutto l’occorrente per il crossdressing in uno zaino, insieme a tre paia di scarpe… Verso le 17:45 mi metto alla guida alla volta di Fregene, località marittima nei dintorni di Roma.

Durante il tragitto i pensieri si affollano nella testa: nel giro di pochi giorni, quello che doveva essere un rapporto terapeutico, si è trasformato in un rapporto fetish molto spinto; tra l’altro la persona che avrebbe dovuto trovare una risposta alle mie domande, sembra che ancora non abbia trovato le sue. Troppo specifico il comportamento che ha durante gli incontri: piedi, feticismo, scarpe, bondage, rapporto orale forzato… tutte cose che secondo me sapeva bene essere sue fantasie. Diciamo che ha solo trovato la persona con cui metterle in atto come piace a lui.

Provo a immaginare lo svolgersi della cena a due: ammanettato mani e piedi, voglio proprio vedere cosa intende fare e come… e cosa succederà dopo, visto che parlava di dessert “particolare”. So già che dovrò succhiargli il pene tutta la notte e ingoiare ogni suo orgasmo, certo per lui sarà il coronamento delle sue fantasie, ma io le mie le conosco bene ormai. Ho portato, tra le “altre” cose, una bottiglia di vino… non sapevo cosa portare e, sinceramente, non me ne sono preoccupato poi molto: non credo ci farà molto caso, visto che gli interessa principalmente seviziarmi.

18:40… entro nel centro abitato di Fregene, abbastanza deserto visto il periodo fuori stagione: mi dirigo verso l’indirizzo che mi ha dato e vedo che è abbastanza fuori dalla zona centrale, molto vicino al lungomare. Arrivo ad una villetta circondata da alberi e a questo punto lo chiamo al cellulare… “Ciao Doc, sono qui fuori” – “Bene, puntualissimo. Che dici, puoi cambiarti in macchina prima di entrare? Magari all’interno del giardino?” – “No, dai… preferisco cambiarmi in casa se non è un problema. Cambiarmi qui mi sembra alquanto impegnativo sinceramente…” – “Si, hai ragione. Ti apro, parcheggia vicino alla mia macchina, la vedrai alla fine del viale. Ti aspetto all’ingresso…”. È già infoiato se mi chiede addirittura di cambiarmi in macchina, ma non se ne parla proprio: il cancello si apre, entro con la macchina e procedo sul viale fino a parcheggiare accanto alla sua macchina. Scendo e prendo lo zaino con la bottiglia di vino, camminando poi verso l’ingresso della casa: lo vedo sulla porta, essendo sera è buio, ma è tutto ben illuminato da lampioncini in ferro battuto. Arrivo all’ingresso, ci salutiamo e non posso fare a meno di notare che è vestito di tutto punto con pantaloni neri, giacca, camicia bianca e cravatta… una cosa seria allora! Sorrido pensando questa cosa, mentre mi invita a entrare e fa strada verso il salone.

Il salone è molto grande, arredato in stile moderno, completamente l’opposto del suo studio: la tavola, posta lateralmente, è già apparecchiata per due… devo dire in maniera elegante. Ci sono due divani disposti l’uno di fronte all’altro con un tavolino nel mezzo, mentre sulla parete più lunga c’è un grosso tv e un camino. Sul cotto del pavimento ci sono diversi tappeti tutti uguali, a formare come un disegno geometrico. Credo sia opera della moglie. Mi cade lo sguardo su una delle sedie del tavolo, e vedo che ci sono fissate delle cavigliere alle gambe e delle manette alla spalliera, entrambe con delle catenelle abbastanza lunghe… ha già preparato i giochi, penso tra me.

Mi fa fare un giro della villa, disposta su due piani e dotata di diverse stanze, tutte grandi e almeno 4 bagni: fare lo psicologo rende bene economicamente! Ho sempre con me lo zaino, finché entrando in una delle stanze: “Lascia pure qui il tuo zaino, dopo potrai cambiarti con calma in questa camera” – “Ah, ok… pensavo di dovermi cambiare subito” – “No, dai… prima ci prendiamo un aperitivo in giardino e facciamo due chiacchiere, del resto abbiamo tutto il tempo” – “Certo…”, rispondo annuendo mentre lascio lo zaino sopra il letto. Scendiamo e ci dirigiamo verso il giardino, passando da una porta finestra molto grande: vedo che c’è anche una bella piscina, con un tavolo e sedie sotto un ombrellone molto grande. Ci sediamo…

Dopo quattro chiacchiere di rito, lui si alza e va a prendere gli aperitivi: resto a guardare la piscina, illuminata dai lampioni posti lungo tutto il perimetro del giardino, in attesa che questo “gioco” inizi. Torna con gli aperitivi che poggia sul tavolino, e li beviamo discutendo di questo incontro: “Allora, sei pronto per questa nuova trasformazione? Nervoso?...” – “Pronto, incuriosito, anche eccitato… ma non nervoso. Non dopo l’ultima seduta nel tuo studio…” – “Ti ha scioccato quella seduta…” – “Mi ha colto di sorpresa più che altro, non posso certo dire che me la aspettassi così!” – “Però ribadisco che è stato eccitante, no?” – “Si, devo ammetterlo…” – “Vorrei riprendere l’incontro di stasera, se me lo permetti…” – “Riprenderlo? Come mai?” – “Per poterlo rivedere con calma… è un problema per te?” – “No, non è un problema. Ribadisco però che, secondo me, tu queste pulsioni le avevi da tempo… dimmi se mi sbaglio, finora hai sempre glissato questa domanda” – “Lo ammetto… sono fantasie che avevo. È stato un fulmine a ciel sereno averti in terapia” – “Mi fa piacere che tu lo abbia ammesso, perché comunque era abbastanza chiaro: ne ho avuto conferma da come mi hai legato in studio… non era opera di chi non avesse cognizioni specifiche” – “Ed è un male?” – “No, affatto… il saper legare è fondamentale in una fantasia fetish che viene tramutata in realtà, altrimenti non funziona”.

Resta in silenzio per qualche istante e comprendo che sta lavorando di immaginazione su quello che tra poco inizierà a farmi… “Vuoi cambiarti? Così diamo inizio a questo gioco?” – “Certo. Vado di sopra… conosco la strada” – “Ti aspetto qui… Se vuoi fare una doccia il bagno è in fondo al corridoio”. Mi alzo e mi avvio dentro verso la scala che porta alle camere del piano di sopra; entro nella stanza dove mi ha fatto lasciare lo zaino, lo apro e dispongo sul letto le cose che ho portato: vestito rosso al ginocchio, intimo di pizzo nero, scarpe rosse con fibbie alla caviglia… Vado in bagno e, dopo essermi spogliato completamente, faccio una doccia rilassante, anche perché devo ammettere di essere un po’ teso. Mi godo la doccia poi, una volta asciugatomi con l’accappatoio a disposizione, rientro nella stanza e indosso gli slip di pizzo e poi il vestito. Metto le scarpe e poi mi fermo a guardarmi nello specchio: diciamo che la parte bassa mi risulta molto eccitante, un po’ meno la parte alta, ma questa è un’altra storia.

Le gambe depilate da sopra il ginocchio in giù fanno la loro figura con il vestito, ma diciamo che nel complesso non posso fare a meno di sorridere impacciato guardandomi. Mi avvio verso la scala per scendere di nuovo in giardino e per la prima volta mi scontro con il fare le scale indossando 12 centimetri di tacco: un’avventura!

Arrivo alla porta finestra che dà sul giardino e sulla piscina, “annunciandomi” con il suono dei tacchi sul pavimento… mi sto eccitando, soprattutto il contatto dei piedi nudi con la pelle delle scarpe, quel calore mi dà una sensazione particolare e molto fetish. Esco in giardino, camminando sul cotto senza entrare sull’erba per non restare con i tacchi infilzati nel terreno: “Complimenti per le gambe, per le scarpe e per il vestito… devo dire che hai gusto…”, mi apostrofa mentre mi siedo al tavolo così agghindato, guardandomi intorno per avere conferma che non ci sia visuale dall’esterno, alquanto imbarazzato pensando che qualche altra persona possa vedermi.

“Le scarpe che hai messo me lo hanno fatto già diventare durissimo…” – “Sono molto belle, vero… molto sexy” – “Troppo. Mi sta venendo voglia di mettertelo in bocca ora, qui… Ma voglio godermi la serata come da programma, quindi prima la cena… che sarà un po’ particolare, come sai già…” – “Si, ho visto manette e cavigliere alla sedia in salone”, gli rispondo ammiccando.

Si alza e mi invita a seguirlo per la “cena”: “Vieni… voglio anche accendere le videocamere prima di prepararti…” – “Ti seguo…”, così mi alzo anche io e ci accingiamo a sederci a tavola: mi indica la sedia mentre accende tre videocamere posizionate nel salone, poi viene verso di me e lentamente mi ammanetta alla sedia con i polsi davanti al corpo: le catenelle sono abbastanza lunghe da consentirmi di usare le posate e mangiare, ma non permettono molto di più; assicurate le manette ai polsi, passa ad avvolgermi con le cavigliere, che invece consentono molto meno movimento, tirando all’indietro le caviglie verso le gambe posteriori della sedia. Si allontana per qualche istante, poi torna con in mano una sorta di collare in metallo che mi chiude attorno al collo e poi, usando la catenella che vi è attaccata, me lo fissa alla spalliera, lasciandomi comunque spazio per muovermi quanto basta.

La serata ha inizio…


 

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