Premessa: questo racconto è di pura fantasia, basato sulla mia immaginazione di adolescente.
Tutti hanno uno “zio” acquisito, un amico di famiglia che fin da piccoli siamo abituati a chiamare zio: non vedevo molto spesso lo zio Osvaldo, che abitava in una cascina nelle campagne romane, ma quando andavamo a trovarlo mi divertivo sempre con gli animali, che erano la sua attività commerciale. Ci andavo volentieri, anche se sempre per una giornata e non di più. Durante il giorno c’erano diversi lavoranti e braccianti agricoli, ma lo zio era vedovo e non aveva figli. Viveva sostanzialmente da solo, con una signora che provvedeva a preparare i pasti ma poi andava via.
Durante una delle visite e delle giornate passate nella cascina mi vide molto preso dai cavalli, così propose di riportarmi durante le vicine vacanze estive e lasciarmi per qualche giorno con lui: io fui entusiasta della proposta, così venne organizzato il tutto.
A quindici giorni di distanza ritornammo quindi alla cascina e, dopo la solita giornata passata insieme, nel tardo pomeriggio rimango in pratica da solo con lo zio. Mi mostra la mia camera, molto spaziosa e con un letto a due piazze, un bagno e diversi mobili, tutti rustici e con il classico odore di legno. C’è una grande finestra che dà molta luce alla stanza, con i raggi del tramonto che ricadono su una scrivania.
“Sistema le tue cose, poi scendi per la cena. Adelina la sta preparando”. Faccio un cenno di assenso, poi lo zio esce dalla camera. Metto i miei vestiti nell’armadio, poi preparo il pigiama sul letto e vi lascio le pantofole vicino, su un lato; scendo la scala e vado nella grande sala da pranzo, dove Adelina sta sistemando i piatti della cena. Sempre molto silenziosa, mi sorride e mi indica il mio posto, alla destra del capotavola dove siede sempre lo zio, che arriva di lì a poco. Adelina ci saluta dandoci appuntamento al giorno dopo e noi iniziamo a mangiare chiacchierando dei cavalli. Lo zio Osvaldo beve sempre e soltanto un bicchiere di vino rosso, ma sulla tavola c’è anche una caraffa con della spremuta di arancia che ha portato lui mentre veniva a sedersi.
Durante la cena me ne versa due bicchieri e una volta finiti mi versa il terzo: “Tu non ne vuoi?”, gli dico… “No, quella è per te. È ancora presto per il vino”, mi risponde sorridendo. Finita la cena ci sediamo sulla veranda a prendere il fresco e mi dice che la mattina dopo avremmo provato a farmi cavalcare: la cosa mi piace molto, ma inizio ad avere sonno… un po’ improvvisamente. “Vai a dormire, domani sarà divertente ma devi essere riposato”… Non me lo faccio ripetere, anche perché sento gli occhi che mi si chiudono, eppure non ero così stanco. Saluto lo zio e vado nella mia camera, mi spoglio, mi lavo sommariamente a causa del sonno, poi metto il pigiama e mi sdraio sul letto. Credo di essermi addormentato subito, e in modo pesante. I ricordi che seguono li avevo inizialmente interpretati come un sogno, anzi un incubo, ma erano invece molto reali.
È notte fonda quando la porta della camera si apre e lo zio entra avvicinandosi al mio letto: indossa solo le mutande, ricordo bene il disegno quadrettato che avevano. Fisicamente, pur essendo di mezza età, è magro e ben messo, ma questa cosa è molto relativa, visto quello che sta per succedere. Io sono su un fianco, rivolto dalla parte verso cui lui si sofferma a guardarmi… poi avvicina una mano ai miei piedi e inizia ad accarezzarli, mentre le mutande si gonfiano a dismisura davanti. Quello che pensavo essere un sogno, un brutto sogno, era invece il risultato di una qualche droga che mi aveva messo nella spremuta d’arancia: la mano risale dai piedi sulle gambe, fino a infilarsi nell’inguine a toccarmi i genitali. A questo punto si abbassa le mutande e il pene esce fuori dritto, lungo e duro: si masturba per qualche minuto con una mano, mentre con l’altra continua a toccarmi tra le gambe. Con il cazzo dritto come una verga, mi sposta la testa verso il lato del letto, mi infila due dita in bocca, a cercare la lingua… mentre l’altra mano si infila sotto i pantaloni del pigiama, dentro le mie mutande! Ha il pene sempre più duro, ma improvvisamente si allontana ed esce dalla stanza. Ne torna dopo qualche minuto con dei pezzi di corda di iuta tra le mani: mi volta a pancia in sotto e mi porta le braccia dietro la schiena per poi legarmi i polsi. Sono drogato e inerme, quindi non comprendo il perché mi stia legando… lo comprenderò successivamente. Legate le mani, passa a legarmi le caviglie, incrociando i piedi. Una volta finito, il pene lo ha talmente duro e dritto da fare impressione: legarmi lo ha eccitato come uno dei maiali che ha nella cascina.
Riprende a toccarmi tra le gambe, poi abbassa i pantaloni del pigiama e gli slip, per potermi toccare pene e testicoli senza impedimenti. Con una mano intenta nella sua masturbazione e l’altra che prende il mio pene e lo sollecita, va avanti per diversi minuti con un respiro che man mano aumenta di intensità.
Prima di quello che definirò il gran finale di questo incubo, si china verso i miei piedi e inizia a leccarli… continua per un po’, infilando la lingua tra le dita e sotto le piante, poi risale lentamente le gambe e si sofferma sul mio pene per strofinarselo sulla lingua. Chiaramente, alle sollecitazioni, il mio pene di adolescente reagisce in maniera evidente, così mi masturba per qualche minuto leccandomi il glande di tanto in tanto. Poi, evidentemente troppo infoiato, si rialza e si avvicina al lato del letto dove c’è la mia testa: mi apre la bocca e, dopo aver nuovamente infilato due dita a cercare la lingua, me la tiene aperta e, lentamente, prima vi poggia la punta del pene, poi lo infila dentro iniziando a scoparmi. Mi stantuffa il cazzo in bocca per almeno dieci minuti, spingendomelo dentro a fondo di tanto in tanto, ma senza tenercelo per troppo tempo, altrimenti mi soffocherebbe visto che mi arriva in gola e tra l’altro ce l’ha molto grosso.
All’improvviso mi prende la testa con entrambe le mani e, tenendo il cazzo dentro la bocca, comincia a fiottare una quantità molto abbondante di sperma caldo che mi riempie il palato e mi scende lentamente in gola, con dei rivoli copiosi che colano dai lati delle labbra. Lo zio Osvaldo mi è venuto dentro la bocca, dopo avermi legato mani e piedi e toccato ovunque! Va in bagno a prendere un asciugamano bagnato per ripulirmi la bocca, il viso e il collo dal suo sperma… Poi mi slega mani e piedi e mi ricompone slip e pigiama, lasciandomi sul letto addormentato o, per meglio dire, drogato. Un sogno? Un incubo? Quando mi sveglio al mattino ho i pensieri confusi e non c’è in effetti alcun segno tangibile di quanto accaduto, se non un leggero rossore sulle caviglie. Ho la testa pesante e un sapore strano in bocca, leggermente salato. Mi siedo sul bordo del letto per schiarirmi le idee ma non riesco a fare chiarezza: mi convinco di aver sognato, o quantomeno voglio convincermene.
Vado in bagno a fare una doccia, come per togliere via la sensazione strana che ho addosso. Poi mi vesto ma, prima di scendere a fare colazione, mi fermo per un po’ a guardare fuori dalla finestra. Ricordo improvvisamente che questa mattina avremmo dovuto andare a cavallo, e questa cosa fa momentaneamente passare in secondo piano quello che voglio ritenere uno strano incubo.
Scendo a fare colazione e trovo Adelina che prepara il tavolo, mentre lo zio è seduto sul divano a leggere il giornale: “Dormito bene?”, mi chiede… esito per un istante nella risposta, poi faccio un cenno di assenso e mi siedo al tavolo, dove lui mi raggiunge. Durante la colazione, il discorso viene subito da lui indirizzato sui cavalli, dandomi le indicazioni su come salire e come guidarlo, come per evitare altri argomenti.
La mattinata trascorre veloce e in modo divertente, con una lunga lezione di equitazione e una bella cavalcata nei recinti della cascina. Nel pomeriggio, dopo il pranzo, lo zio esce per un appuntamento in paese, così resto con Adelina che si presta a rimanere per qualsiasi necessità. Salito nella mia camera, vengo colto nuovamente dai pensieri e dalle domande relative all’incubo notturno, così vado nella camera dello zio, spinto dalla curiosità di trovare qualcosa che fughi i miei dubbi, in un modo o nell’altro. E infatti dentro un cassetto trovo diversi spezzoni di corda: la cosa mi lascia perplesso e anche incredulo… ma allora è successo davvero?! Preso dal nervosismo continuo a cercare nei cassetti, nell’armadio e infine vedo una cassapanca chiusa con un lucchetto. Provo quindi a cercarne la chiave, ma senza risultato finché desisto e torno nella mia camera.
Mi sdraio sul letto a pensare: “Cosa ci sarà nella cassapanca? Perché chiuderla con un lucchetto?”…